DIALETTO
  o lingua materna, è uguale  

"Le lingue dal punto di vista fonetico sono migliaia, mentre dal punto di vista psicologico ne esistono solo due: la lingua materna o primaria e tutte l’altre lingue messe insieme o seconde". Ludwig Wittgenstein

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Elisabeth Jankowski, La lingua tagliata

 

 

Elisabeth (Lisa) Jankowski

La lingua materna è la legge e l’etica che regolano i rapporti con la madre e con il mondo. Liberarsi della lingua materna vuol dire liberarsi del rapporto con la madre. Vergognarsi della lingua materna vuol dire vergognarsi della madre. 

 

[Breve biograia]

La lingua tagliata

 

La lingua che lega

 

La lingua riflette i rapporti fra la madre e i figli. La lingua è una forza che tiene il figlio nel campo magnetico della madre. La lingua materna è la legge e l’etica che regolano i rapporti con la madre e con il mondo. Liberarsi della lingua materna vuol dire liberarsi del rapporto con la madre. Vergognarsi della lingua materna vuol dire vergognarsi della madre.

 

La madre a sua volta può vergognarsi della propria lingua e della propria origine oppure può essere costretta a reprimere il desiderio di parlare nella propria lingua.  Forse ritiene essa stessa inopportuno trasmettere la propria lingua. In questo caso si genera un vuoto che lascia al figlio una pesante eredità e un disordine sentimentale e mentale.  

dimezzata

La madre che non parla la propria lingua materna è una madre “dimezzata”. La sua voce è poco energica e convincente perché privata della sua forza iniziale. Di fronte al cambio imposto di lingua molte donne cominciano a tacere, da una parte perché viene meno il desiderio di parlare e la capacità di parlare e dall’altra perché tutto ciò che desidererebbero dire non possono esprimerlo nell’altra lingua: quei giochi di parole, quegli scherzi, quelle modulazioni nella voce quando la voce si fa strumento di gioco e musicale o severo mezzo di educazione, non sono più possibili, inoltre, i gesti che accompagnano queste modulazioni, non sono gli stessi nelle due sfere culturali e si verifica il fenomeno di una gestualità appartenete ad una lingua ed il lessico ad un’altra. Il linguaggio del corpo materno è in contraddizione con il suo linguaggio verbale. Tutta quella zona densa di emozioni e di divertimenti non trova espressione e rimane in  gola. Nella lingua imposta dall’esterno oppure dalle proprie convinzioni ragionevoli si esprime ciò che è più un linguaggio pubblico, un linguaggio regolativo-educativo a cui manca tutta quella parte prima descritta. Tale linguaggio è perciò mancante delle cose essenziali di una lingua materna. Non solo. Anche la grammatica di una lingua imposta, se non presenta proprio degli errori possiede in ogni caso una struttura rigida, povera di modulazione sintattica. Lo stesso vale per la competenza conversazionale. Ogni lingua segue delle regole con mille variazioni nell’arte del conversare. Nella seconda lingua, se non si sarà completamente bilingui, non si avrà mai la competenza e flessibilità strutturale che si possiede nella lingua materna. Il bambino e la bambina che non crescono imparando bene una lingua materna non ricevono la stessa ricchezza linguistica, emozionale e le stesse capacità intellettive.

  

La vergogna della lingua dell’intimità

Dall’altra parte è il bambino che si vergogna della lingua materna. Essa è qualcosa di assolutamente intimo. E ogni piccolo o piccola se ne rendono conto quando arrivano alla scuola materna oppure alla scuola elementare: non parlano con nessuno. Non avendo a disposizione una lingua, come dire, pubblica diventano muti. Talvolta possiedono due lingue, una quella per loro pubblica, cioè quella con la quale comunicano all’esterno e un’altra più intima con la quale parlano a casa: sarà il dialetto meridionale o un qualsiasi dialetto oppure una lingua straniera.

A scuola negano quanto possono il fatto di parlare un’altra lingua a casa. Se ne vergognano come se dovessero far vedere il corpo nudo. Solo quando hanno stabilito una relazione di fiducia con l’insegnante e con i compagni di classe fanno trapelare che possiedono anche un’altra personalità, un’altra lingua, appunto. Ma occorre una grande intimità e un giudizio positivo sulla loro origine perché possano ammettere di essere diversi. Il loro silenzio è la strategia di difesa quando temono di essere messi alla gogna per la loro diversità. Molti dei nostri studenti a scuola non si fidano ancora di noi, insegnante e compagni, e quello che raccontano non corrisponde al vero. Avrebbero bisogno di una relazione forte a scuola che sia con un compagno, una compagna oppure con un insegnante. La lingua nasce dall’esperienza comune, dalle pratiche che creano fiducia oppure almeno misura. Dove non esiste ancora la convivenza e la reciproca accettazione occorre tempo perché si realizzi e pazienza nell’attesa della prima parola.

 

La bugia

Tutt’altro problema sono le bugie. Alcuni bambini e bambine sono molto abili nell’ inventarsi delle storie. Quando un bambino straniero racconta qualcosa nessuno può verificare se ciò che racconta è vero. Nessuno è mai stato a casa sua, e ancora meno nel suo paese di origine, nessuno conosce p.e. suo zio e il fatto che possiede dieci cammelli oppure non. Mentre nel caso dei bambini del quartiere possiamo facilmente accorgerci se afferma cose non vere, in quello dei bambini stranieri questo non è possibile perché manca il testimone.

Di fatti una storia vale un’altra perché tutte sono altrettanto diverse per le persone locali. Invece mi sembra importante che si possa raccontare la verità. Questi bambini fantasiosi che raccontano cose  non vere mettono in imbarazzo i genitori che non sanno cosa fare e per quale motivo succede questo. Un’amica  che ha avuto la  figlia quando lavorava in Africa ha questo problema. La bambina sa più lingue perché ha avuto babysitter di diversa origine, ma siccome la famiglia si è trasferita dopo alcuni anni in un altro paese ancora le è mancata una realtà descritta con autorità. La madre non le aveva parlato in lingua materna, ma in inglese. Credo che manchi alla piccola il garante della realtà. In questi casi può nascere un divario fra realtà e irrealtà che impedisce che nell’età dello sviluppo si formino delle amicizie personali molto importanti e che la persona sia saldamente inserito nel tessuto sociale. D’altra parte se la verità spesso è troppo crudele perché non nominarla in codice?

All’esterno del mondo della famiglia, quando tutto è diverso e la diversità risulta minacciosa, il bambino può essere indotto a raccontare una cosa per un’altra. E’ tipico dei bambini di diversa provenienza di essere molto fantasiosi ma spesso quella fantasia è solo una battaglia di autodifesa e, a lungo andare può creare un grande  disagio, quello di non sapere più cosa è la realtà

Marìa-Milagros Rivera Garretas nel suo testo “Il linguaggio oracolare di Marìa Zambiano”, parla della madre in quanto si fa garante della realtà. Nominando la cosa per il bambino si crea quel nesso fra suono-parola, oggetto e concetto del reale.

“Oggi sappiamo e diciamo che la garante della lingua è la madre, ogni madre. Secoli fa, nell’Europa feudale il garante dell’ordine simbolico era Dio, il dio cristiano […]. Successivamente, nell’occidente capitalista moderno e contemporaneo, garante dell’ordine simbolico è stata la scienza. Oggi diciamo che la lingua è un dono della madre[…], che è lei, la madre, ogni madre, la  garante della verità delle parole, della coincidenza tra le parole e le cose. E’, quindi, la garante del senso della realtà, del fatto che il simbolico sia un ordine.”[1] Ogni bambino che ha dovuto abbandonare il proprio luogo d’origine, dove era conosciuto dalle persone, ha a maggior ragione bisogno della madre e del padre come garante dell’ordine della realtà perché solo loro conoscono il mondo dal quale provengono e quello nel quale ora vivono. Solo loro sono testimoni di ciò che i loro bambini raccontano.

 

La lingua materna comunque non è solo la lingua dell’infanzia[2], essa è la lingua che comprende in se stessa tutte le conoscenze linguistiche del reale, è come un DNA della lingua, il codice genetico del parlare che si genera nel contatto con la madre e rimane, si può dire, tutta la vita la cellula generatrice del nostro parlare.


[1] Marìa-Milagros Rivera Garretas, Il linguaggio oracolare di Marìa Zambrano, in: Il cuore sacro della lingua, Poligrafo, Padova 2006, p. 71.

[2] Vedi a questo proposito anche Chiara Zamboni: Parole non consumate, Liguori editore, Napoli 2001, pp. 13.

biografia

Breve biografia

Elisabeth (Lisa) Jankowski, tedesca di origine, vive e lavora a Verona da molti anni. Insegna la lingua tedesca all’Università di Verona; fa parte della munità filosofica di Diotima e di Ishtar Associazione di donne italiane e straniere). È studiosa della lingua materna e dell’insegnamento della lingua straniera. Allieva di Ida Travi, scrive poesia in lingua materna, ma anche in italiano; spesso cerca risonanze fra le due lingue.

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Elisabeth Jankowski, La lingua tagliata, DIOTIMA Comunità Filosofica Femminile http://www.diotimafilosofe.it/ 

 

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"Le lingue dal punto di vista fonetico sono migliaia, mentre dal punto di vista psicologico ne esistono solo due: la lingua materna o primaria e tutte l’altre lingue messe insieme o seconde". Ludwig Wittgenstein

 

Autore del sito Paolo Pegoraro (breve biografia)
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