- VOCI DEL SILENZIO
- sulle tracce delle lingue in via di estinzione
- di Daniel Nettle e Suzanne Romaine - Roma, Carocci, 2001
Come muoiono le lingue e perchè?
Abbiamo impiegato termini come "morte" ed "estinzione"
in relazione alle lingue, così come farebbe un biologo parlando di specie
animali. Questo può suonare strano o inappropriato. Che giustificazione
abbiamo per farlo? Dopo tutto, le lingue non sono organismi viventi che
possono nascere e morire, come le farfalle e i dinosauri, non sono vittime
di vecchiaia o di malattie e non hanno alcuna esistenza tangibile alla
stregua di alberio o persone. Nella misura in cui si può dire che una
lingua esista, il luogo in cui questo accade deve trovarsi nella mente
delle persone che la usano. In un altro senso, tuttavia, la lingua può
essere considerata come un'attività, un sistema di comunicazione tra
esseri umani. Una lingua non è un'entità che si mantiene da sola, ma è
qualcosa che esiste solo laddove esiste una comunità che la parla e la
trasmette. Una comunità di persone può esistere solo in un ambiente che
le permette di vivere e nel quale è possibile reperire i mezzi per la
sopravvivenza. Laddove le comunità non possono prosperare, la loro lingua
è in pericolo, e quando perdono i loro parlanti, le lingue muoiono....
......... La diversità linguistica è dunque un banco di prova della
diversità culturale. La morte di una lingua è il sintomo di una morte
culturale: con la morte di una lingua scompare un modo di vivere. I
destini delle lingue sono legati a quelli dei loro parlanti: la decadenza
e la morte di una lingua si verificano come reazione alle diverse
pressioni - di ordine sociale, culturale, economico e persino militare -
esercitate su una comunità. Ogni qualvolta una lingua cessa di esercitare
una particolare funzione, essa è destinata a perdere terreno a favore di
un'altra lingua che prende il suo posto. La morte sopraggiunge quando una
lingua ne sostituisce un'altra nella totalità della sua sfera funzionale,
e i genitori non la trasmettono più ai figli......

L'ecologia della lingua
"La lotta tra gruppi dominanti e gruppi dominati per il diritto a
sopravvivere comprende quella che chiamo “l’ecologia della lingua”.
Con questa espressione intendo dire che il mantenimento della lingua fa
parte dell’ecologia umana."
Einar Haugen
Nei tre capitoli precedenti abbiamo visto come il mondo contenga una
diversità di lingue e di popoli di gran lunga maggiore di quanto pensi la
maggior parte di noi. Questa diversità risulta oggi gravemente
minacciata. Nei prossimi tre capitoli, spiegheremo come si sia determinata
questa situazione. Non è possibile comprendere la ragione per la quale le
lingue muoiono senza comprendere anche qual'è l’altra faccia della
medaglia; senza comprendere cioè la ragione per cui un così grande
numero di lingue diverse si sono sviluppate e mantenute in vita nel corso
della storia umana. In questo capitolo vedremo dunque in che modo si
determina la diversità linguistica, quali sono le forze che la mantengono
e quali i fattori che possono distruggerla
Le lingue non vivono nel vuoto. In realtà il termine ecologia si rivela
particolarmente adatto nel caso delle lingue, e da vari punti di vista. La
parola deriva dal greco oikos, che significa “casa”. Una lingua può
prosperare soltanto nella misura in cui vi sia una comunità vivente che
la parla e che in famigila la trasmette dai genitori ai figli. Una
comunità può funzionare soltanto laddove esistano un ambiente dignitoso
dove vivere e un sistema economico sostenibile. Comprendere perché
nascono e perché muoiono le lingue, allora, comporta un’analisi non
soltanto delle lingue in se stesse ma anche di tutti gli aspetti della
vita delle persone che le parlano. Questo è ciò che intendiamo quando
parliamo di una visione ecologica della società: le persone sono attori
in un campo complesso i cui confini sono posti dalla geografia fisica e
dalle risorse naturali, dalla conoscenza e dalle opportunità di cui
dispongono e dal comportamento di ahri intorno a loro. Una lingua si
iscrive in una matrice sociale e geografica nello stesso modo in cui una
specie rara si inserisce in un ecosistema. Un moderato cambiamento
ambientale può provocare estinzioni a cascata, con l’aumento delle
pressioni esercitate sulle specie legate tra loro.
Consideriamo per esempio il caso del raro uccello canterino di Kirtland,
del quale rimane in vita soltanto qualche centinaio di esemplari. Vive
soltanto in sei contee del Michigan, dove si trova l’habitat di cui ha
bisogno: pini di un’età compresa tra i cinque e i sei anni in un
terreno sabbioso. Se per qualche motivo i pini dovessero essere minacciati
o distrutti, a causa di cambiamenti climatici o disboscamenti, l’uccello
canterino di Kirtland scomparirebbe.
Un principio analogo si applica a! caso della morte linguistica. Una
piccola modifica dell’ambiente sociale, come la perdita del controllo
sulle risorse a vantaggio di estemi, può avere drastiche conseguenze che
si trasferiscono immediatamente agli ambiti della cultura e della lingua.
Alla fine del 1987, per esempio, fu trovato l’oro nei territori occupati
da 8.ooo indios Yanomami che abitavano le foreste del Brasile del nord.
Nell’arco di otto mesi la regione si riempì di 30.000 cercatori che
arrivarono per arricchirsi. Il governo brasiliano ha affermato che
dall’inizio della corsa all’oro è morto almeno un indio al giorno,
sostenendo tuttavia di non avere i mezzi per fermare questo massacro.
Le cause principali della scomparsa delle lingue non sono dunque esse
stesse di natura linguistica. Come abbiamo indicato nel CAP. I l’uso di
una lingua rappresenta piuttosto una cartina di tornasole per ciò che
accade più in generale nella società. Laddove si modifica l’uso
linguistico, è in corso un rivolgimento sociale a un livello più
profondo, che può avere cause ambientali, economiche o politiche. Il
carattere rivelatore di una lingua è una proprietà di enorme importanza,
perché la perdita di una lingua — come la morte del canarino di un
minatore — è un indicatore affidabile di tensioni meno visibili su cui
potrebbe essere necessario indagare. Questa è una delle ragioni per le
quali percepiamo il tema della perdita delle lingue come un argomento di
grande importanza. ....

Diritti linguistici e diritti umani
I moderni stati-nazione europei che emersero nel XIX secolo si basavano
sul principio di un’unica lingua nazionale. A causa dell'identificazione
tra identità nazionale e integrità linguistica, la diversità
linguistica in Europa ha finito per essere limitata alle zone di confine.
Nell’opera di definizione dei confini nazionali e nei conseguenti
aggiustamenti determinati dagli esiti delle guerre, alcuni popoli si sono
ritrovati dalla parte sbagliata del confine (come la comunità di lingua
ungherese nell’attuale Austria), o si sono ritrovati dispersi in
svariati stati-nazione (come i Baschi in Spagna e in Francia o i Macedoni
in Grecia, Bulgaria e Repubblica jugoslava della Macedonia).
L’estensione della sovranità nazionale della Grecia su parti di
territorio macedone fu accompagnato da misure particolarmente aggressive
dirette a!l’ellenizzazione della popolazione di lingua slava, tra cui il
divieto di usare in pubblico qualunque lingua che non fosse il greco. Le
persone potevano essere multate, imprigionate o costrette a bere olio di
ricino, e i bambini potevano ricevere punizioni corporali a scuola, se
venivano sorpresi a parlare la propria lingua.
Sebbene 25 dei 36 stati-nazione europei moderni siano ufficialmente
monolingui, la maggioranza di essi ospitano delle minoranze, sia indigene
sia non indigene, le cui lingue non hanno lo stesso status e gli stessi
diritti di quelli riconosciuti alle lingue ufficiali. Questo fenomeno può
essere considerato come una forma di colonialismo interno, che impone il
peso del bilinguismo a coloro che vivono alla periferia.
Questo modello di stato-nazione centralizzato, basato su un’unica
lingua, è stato successivamente esportato nel resto del mondo. Esso
tuttavia non riflette il modo in cui il mondo è fatto naturalmente, né
è sorto spontaneamente rivelandosi superiore alle alternative indigene;
esso è stato imposto con la forza del colonialismo monopolistico. Le
politiche internazionali di questo secolo hanno sempre difeso gli
stati-nazione, armando e sostenendo le loro elite centrali e chiudendo un
occhio su quello che facevano nei confronti dei popoli periferici. Questo
riflette il desiderio dei governi dei paesi sviluppati che le risorse del
mondo siano controllate da un ristretto gruppo di docili clienti, e non
riflette sempre le esigenze e le aspirazioni delle persone comuni, poiché
i confini di molte nazioni tropicali sono completamente prive di una
legittimazione storica o di ragionevolezza economica. L’ascesa degli
stati-nazione in Africa, per esempio, ha imposto alle persone comuni una
burocrazia parassitaria e ha indebolito le più efficienti strategie di
sopravvivenza nelle parti marginali del continente, come la capacità da
parte dei nomadi di spostarsi per centinaia e talvolta migliaia di
chiometri in cerca di acqua e di cibo per i loro animali. Nel frattempo,
le politiche fiscali dei governi hanno spinto verso la coltivazione di
specie vegetali di largo consumo, a spese di piante adatte alle esigenze
locali, e le scuole governative hanno costretto i bambini a un
apprendimento delle lingue occidentali piuttosto che delle lingue delle
loro comunità.
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